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Allocati - Broggia
Fascicolo Manoscritti palermitani
Copie manoscritte di scritti originali di Broggia custoditi nella Biblioteca Comunale di Palermo. Essi fanno parte di quell' "opera complessiva di teoria economica e del commercio" di cui parla Ajello, le cui "varie, disordinate ed in parte ripetute stesu
Scheda: 1-555 cc. nr. fascicolo 14
Numero della busta: 2
Nota bibliografica: Ajello Raffaele (a cura di), Dal Muratori al Cesarotti, Tomo V, Milano, Ricciardi, (stampa 1978), p. 1004
Documenti presenti nel fascicolo
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La coltivazione del commercio o sia l'abondanza del peculio procurata allo Stato
Copia manoscritta dell'originale di Broggia custodito nella Biblioteca Comunale di Palermo, cui Allocati fa riferimento, rifacendosi chiaramente alla segnatura originale, come al manoscritto n. 113 (cfr. 1.12). Dai sedici foglietti di appunti ad esso allegati appare evidente che egli si era impegnato in un lungo e rigoroso lavoro filologico sui testi di Broggia. Dalla collazione di tali testi, infatti, egli si riprometteva di "enucleare gli argomenti di tutta la [sua] produzione" e di rintracciarne "tutte le citazioni" al fine di "stabilire le fonti" del pensiero broggiano (v. in particolare il foglietto allegato alla c. 158). L'opera nel suo complesso è ancora inedita e può essere fatta risalire agli anni 1740-1743. Alla c. 62v, infatti, vi è un riferimento al cambio favorevole vigente a Napoli nel 1740, mentre un'annotazione di Allocati su foglietto allegato alla trascrizione dattiloscritta di una parte del ms. n. 113 in esame (cfr. 1.12.1, c. 1), dice testualmente: "il ms. è anteriore al Trattato dei tributi e delle monete pubblicato nel 1743. Difatti molti passi del trattato a stampa sono presi dal ms.". In particolare sembrano sicuramente tratti da esso i capitoli XXV-XXVIII del Trattato a stampa. Tali capitoli, nel manoscritto, si trovano ripetuti in stesure a volte identiche, a volte leggermente diverse (cfr. per il cap. XXV le cc. 52v-60v e le cc. 131-139, per il cap. XXVI le cc. 60v-64 e le cc. 141-145, per il cap. XXVII le cc. 64-65v e le cc. 146-148). Le parti inedite, nelle quali pure si riscontrano numerose ripetizioni, trattano del commercio estero, del meccanismo dei cambi e della bilancia dei pagamenti, e di come un commercio estero fiorente, promosso da una giusta politica, abbia effetti non solo economici, ma anche demografici, essendovi delle relazioni profonde tra politica, economia e demografia. In esse, in particolare, si discute dell'opportunità di un avanzo della bilancia commerciale, da realizzarsi promuovendo l'esportazione di prodotti manifatturieri ed agricoli, nonché di servizi (trasporti, ecc.), avanzo che consentirebbe l'importazione di valuta (oro e argento) dall'estero. Vi si discute ancora: a) della necessità del risparmio e dell'esportazione del superfluo; b) delle interrelazioni tra le oscillazioni del cambio ed il saldo (attivo o passivo) della bilancia dei pagamenti; c) dell'opportunità di promuovere la libertà di commercio, regolamentandola però, come in Inghilterra (v. c. 167), anche attraverso alcune misure protezionistiche (dazi, proibizione di manifatture forastiere); d) della dannosità dei dazi che sottraggono alla circolazione ori ed argenti che entrano nello Stato grazie al commercio con l'estero. Dei sedici foglietti allegati, n. 8 sono di mm. 105x118, n. 5 di mm. 80x105, n. 3 di varie misure.
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La vita civil economica o sia il vero essere del sapere e del potere
Copia manoscritta dell'originale di Broggia custodito nella Biblioteca Comunale di Palermo. Si tratta di uno dei tomi di cui è composta l'opera intitolata La vita civil economica ed appartiene con ogni probabilità alle ultime redazioni dell'opera stessa, poiché ne porta il titolo definitivo con il sottotitolo "Il vero essere del sapere e del potere". E' noto, infatti, che le prime stesure erano diversamente intitolate. Gli argomenti trattati sono quelli ricorrenti negli scritti di Broggia. Egli è un convinto assertore del primato dell'economia e della morale sulle lettere e sulle arti. Infatti, il benessere di un paese è dovuto alla industriosità dei suoi abitanti ed alla morigeratezza dei loro costumi, mentre "una vita soverchiamente colta, spreggiatrice della fatica e dell'industria" conduce alla rovina uno Stato (cfr. Ajello, il quale cita parole di Broggia) poiché produce "la barbarie della riflessione, colta, e mascherata di civiltà" (cfr. 2.14.2 c. 304). La storia antica insegna che l'industriosità, che produce ricchezza, si traduce, una volta che questa sia stata raggiunta, in una rilassatezza dei costumi che inducono ad una vita oziosa e viziosa, o dedita ad una cultura anch'essa oziosa, il che conduce ad impoverimento e decadenza di uno Stato. Come potrebbero allora i cittadini conservarsi sempre industriosi? Bisogna indurre in loro uno stato di necessità, distribuendo la ricchezza in modo che "lo Stato sempre più ricco nel generale, non lo sarà molto nel particolare". E tale necessità sarà "attissima a far sì che la maggior parte delle famiglie dall'alma industria, e dal temperato e però onesto vivere, non si distacchino" (cfr. 2.14.2 c. 316). Quello della necessità è, peraltro, un criterio generale, valido non soltanto a livello di individui o di famiglie; esso è il motore dell'intera vita economica di un paese. Nel commercio, in presenza di scarsità di alcuni beni, il paese sarà spinto dalla necessità a procurarseli, non ricorrendo alle importazioni, ma "con lunghi viaggi, con istabbilimenti di Compagnie, e di Case di Negozio, e di fattorie fondate negli altrui Stati...in modo che gli venghino a costare a meno che si può" (cfr. 2.14.2 c. 317v). Nei traffici marittimi, in presenza di leggi favorenti l'utilizzazione dei soli bastimenti nazionali, un paese, per necessità, incrementerà la propria flotta e, di conseguenza, il proprio prestigio (v. c. 318). Non potendosi reggere sull'agricoltura, fu ancora la necessità a far sì che Venezia si dedicasse prevalentemente al commercio marittimo diventando una ricca potenza marinara (cfr. 2.14.2 cc. 377-378). Una parte importante, infine, dell'opera è dedicata alla dimostrazione del teorema broggiano del "triplice agibile" (cfr. cc. 415-452). Secondo Broggia, in una società vi deve essere armonia tra i tre livelli, quello economico, quello civile e quello militare. Pertanto egli procede, così come è annotato da Allocati (v. foglietto allegato alla c. 415), all' "analisi della storia dei cartaginesi, degli spartani, degli ateniesi e dei romani per mostrare quanto" tale "armonia...abbia giovato agli stati ed ai popoli e quanto la disarmonia nociuto". In particolare, "della storia romana è fatta un'ampia disamina da Giulio Cesare a Costantino, tutto sulla scorta degli storici antichi". Dei ventinove foglietti allegati, n. 26 misurano mm. 80x105 e n. 3 sono di varie misure.
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La vita civil-economica o sia il vero essere del sapere e del potere. Tomo IV
Copia manoscritta dell'originale di Broggia custodito nella Biblioteca Comunale di Palermo. Nella prima parte di questo scritto, e cioè "L'intemperanza delle lettere", Broggia svolge alcuni temi ricorrenti nella sua produzione. La vita civile economica non ha bisogno di essere "soverchievolmente colta" (cfr. 2.14.3, c. 453v). Anzi, consistendo "il vero sapere e la vera scienza..." nell' "operare", spesso "sa più il popolo, perché sa il necessario, che non sanno moltissimi letterati" (cfr. 2.14.3, cc. 453v-454). Le lettere diventano "intemperanti" quando disprezzano "il necessario stimato come volgare per apprendere l'astruso e il superfluo" (cfr. 2.14.3, c. 454v). L'apprendimento in tal caso non è finalizzato all'agire, cioè ad essere industriosi, ma a mera curiosità o vanità. Coloro i quali sono dediti a questo tipo di apprendimento non sanno operare, quindi sono ignoranti poiché non sanno e non producono nulla di quanto è necessario. Broggia trova sostegno alle sue argomentazioni anche nei padri della Chiesa. Nel pensiero di San Paolo, "l'eccedente coltura" è vana, mentre "la carità... edifica". Ma la carità per San Paolo è concetto comprensivo di quello di industriosità, perché il lavoro consente all'uomo di "poter mantenere se stesso" che è "carità verso se stesso" e da ciò "ne viene che possa poi farsi ad altri in varie guise la carità" (cfr. 2.14.3, c. 457v). "La carità" è, pertanto, feconda, ed in questo senso "edifica, inalzando le case e moltiplicando le famiglie, e dilatando e felicitando gli Stati per mezzo dell'amor dell'industria e della vita civil economica" (cfr. 2.14.3, c. 458). Il discorso sulla nocività dell'eccessiva cultura prosegue con esempi tratti dalla vita di Temistocle, Solone e Focione, tutti illustri uomini politici, che perseguirono il bene dello Stato e che a tal fine avviarono importanti riforme legislative, economiche e sociali. La Grecia, così come Roma, fu resa ricca e potente da uomini come loro, uomini eminentemente pratici, non teorici. Alessandro, invece, che aveva avuto come precettore Aristotele, fuorviato, secondo Broggia, dalla sua formazione teorica, nell'inseguire il sogno di un impero universale, conquistò immensi territori ma non ne promosse poi lo sviluppo civile ed economico. Egli non riuscì insomma ad informare la sua azione al criterio dell'armonia tra le esigenze militari, civili ed economiche, ciò che Broggia chiama il "triplice agibile" (cfr. 2.14.2, cc.415-452). Broggia in verità ammette che vi siano in Europa degli Stati ugualmente grandi per la loro potenza militare ed economica e per lo splendore raggiunto dalle loro lettere, ma aggiunge subito che la storia insegna che "anco al tempo di Cicerone...chi si fusse trovato in detto tempo avrebbe potuto dire che si godesse già la calma e che le lettere erano la tutela ed il maggior splendore della Repubblica". Nondimeno, prosegue, "le lettere non salvarono anzi causarono fra pochi anni infortunii maggiori, quali furon quelli che dipesero dalle discordie sortite per la eccedente riflessione, che spinse l'ambizione di molti" (cfr. 2.14.3, c. 471). "Ora" si chiede Broggia " se mai vediamo che in un qualche Stato abbondando le lettere vi si gode la possanza e la calma, siamo noi sicuri, che questa possa durare e che dal tempo d'Augusto non si vada in quel di Tiberio, e da questo non si passi in qualche cosa di peggio?" (cfr. 2.14.3, c. 472). "L'intemperanza delle lettere" è insomma per Broggia causa sicura di rovina di uno Stato. Quando, dunque, le lettere sono "temperanti"? In presenza di "buoni libri [non] s'ha per questo a giudicare che vi sia intemperanza di lettere. Tai libri saranno...intesi a promuovere le arti sustanziali sì del commercio che della guerra, e così ancora a schiarirci la storia o pure a scoprire quel pelago di errori, ne' quali è incorsa l'eccedente riflessione de' letterati sì antichi, che moderni. Insomma s'affaticheranno a promuovere l'industria [e] la vita civil economica" (cfr. 2.14.3, c. 472v). Quale allora l'educazione da dare ai giovani? Broggia è d'accordo con Fleury che essa debba essere impostata in modo da sviluppare in essi la conoscenza delle tecniche di lavorazione dei manufatti, il senso pratico e la percezione del valore delle cose "il che è la scienza delle scienze, perchè niuno v'è il quale sapendo dare un giusto prezzo alle cose non sappia perciò conoscer le persone e di esse misurarne il valore" (cfr. 2.14.3, c. 475). Nella seconda parte Broggia parla dell' "intemperanza delle leggi", ossia dell' "essersi resa l'arte di giurisprudenza un'arte intricatissima, e difficilissima, piena di cose astruse, e superflue, involta fra mille labberinti" (cfr. 2.14.3, c. 486), il che rende molto spesso vane la ragione e la giustizia. Anche l'intemperanza delle leggi, così come quella delle lettere, è causa di decadenza e di rovina degli Stati. Broggia a questo punto si preoccupa di chiarire che non è sua intenzione affermare che la cultura è cosa negativa, anzi "le lettere e le leggi [sono] cose del tutto necessarie e buone", in esse, "siccome in tutte le cose", è "l'eccesso" che "è sempre nocivo" ( cfr. 2.14.3, c. 508v). Nella terza parte Broggia parla della necessità per uno Stato di coltivare le arti della guerra, se non altro a fini di difesa e di tutela della pace. Egli però è dell'opinione che il servizio nell'esercito non debba durare più di qualche anno e che i soldati debbano tornare poi alle loro civili occupazioni. Ciò perché non dimentichino che il benessere degli individui, e quindi dello Stato, è dato proprio dalla giusta conciliazione delle attività civili, economiche e militari. Broggia cita a questo proposito Mecenate, il cui pensiero è per la verità contraddittorio. Mecenate, infatti, prima consiglia ad Ottaviano Augusto di mantenere un esercito regolare, costituito da militari di carriera (cfr. 2.14.3, c. 526v), mentre successivamente afferma la necessità di periodiche interruzioni nel servizio con relativo ritorno alla vita civile. E ciò proprio in virtù del principio per il quale uno Stato raggiunge la prosperità solo se i suoi governanti e i suoi abitanti posseggono in modo equilibrato virtù sia civili, sia economiche e militari (cfr. 2.14.3, c. 532v). Dei dodici foglietti allegati, n. 9 misurano mm. 80x105 e n. 3 mm. 105x118.