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Fascicolo Econ. Opusc. R bis
La cartella comprende materiale eterogeneo per autori, argomenti e periodo di pubblicazione. Si segnala, in particolare un estratto di Luigi Einaudi, Les formes et les transformations de l'économie agraire du Piémont par Luigi Einaudi, Extrait du "Devenir
Scheda: nr. fascicolo R bis
Numero della busta: 25
Nota bibliografica: Einaudi Luigi, Les formes et les transformations de l'économie agraire du Piémont par Luigi Einaudi, Extrait du " Devenir Social ", Paris, Giard & E. Brière, 1897
Documenti presenti nel fascicolo
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A. de Viti de Marco. Uomo civile. Problemi meridionali - Problemi nazionali - Problemi internazionali
Dopo una breve nota biografica (pp. 5- 6), in cui si punta soprattutto l'accento sulla scelta politica antifascista dell'economista leccese, attestata dalla lettera di dimissioni presentate all'Università di Roma il 5 novembre 1931, integralmente citata, segue il "Discorso tenuto da Ernesto Rossi, alla Fiera del Levante, il 12 settembre 1948, alla presenza del Presidente della Repubblica, e pubblicato a cura dell'Amministrazione della Provincia di Bari" (pp. 9-42). Nel suo discorso commemorativo, Ernesto Rossi dichiara subito il suo debito di gratitudine verso De Viti de Marco, sia per gli insegnamenti ricevuti attraverso i suoi scritti di economia finanziaria e politica, sia per l'amicizia che questi gli offrì durante il periodo della sua prigionia politica. Rossi ricorda di aver conosciuto De Viti De Marco nel 1925, per il tramite di Gaetano Salvemini, e di esserne subito rimasto affascinato per l'atteggiamento "democratico" con cui anteponeva ad ogni altra preoccupazione gli interessi generali del popolo e l'elevazione del loro tenore di vita e della loro educazione. Insieme con Ferrara, Pareto, Pantaleoni, De Viti de Marco rientrava in quel "piccolo gruppo di economisti che hanno veramente onorato la scienza italiana a cavallo tra i due secoli". Come loro, egli aveva disdegnato le teorie astratte derivanti dalla filosofia hegeliana. Rossi ricorda le lunghe disquizioni con De Viti de Marco, avute nelle due settimane in cui fu ospite di quest'ultimo nel 1928, per aiutarlo nella raccolta dei suoi scritti poi pubblicati nel volume "Un trentennio di lotte politiche". La più grande prova di solidarietà De Viti de Marco l'aveva data a Rossi in quelle poche righe che aveva premesso nel giugno 1931 all'edizione tedesca del suo trattato. Poche, ma significative parole di ringraziamento verso Ernesto Rossi, per averlo aiutato nella revisione critica dei suoi scritti. Oltre a citarne nome e cognome e ad indicare l'Istituto Tecnico di Bergamo in cui aveva insegnato, faceva esplicito riferimento alla condanna a venti anni infertagli dal Tribunale Speciale come capo dell'organizzazione politica "Giustizia e Libertà". Fu un vero e proprio atto di aperta accusa contro il fascismo. Quando il 31 luglio 1943 Rossi uscì dal carcere, lo andò a trovare ancor prima di far rientro a casa, perché, gravemente malato, aveva espresso il desiderio di vederlo un'ultima volta. La grandezza di De Viti de Marco era, secondo Rossi, nella capacità d'incarnare, accanto a pochissimi altri uomini meridionali, tra cui annovera solo Gaetano Salvemini e Giustino Fortunato, "l'espressione suprema della nostra civiltà". Rossi non si sofferma sul "pensiero scientifico del De Viti economista", non sembrandogli quella l'occasione più opportuna, ma sul suo pensiero politico e sul modo in cui si pose davanti ai problemi del Mezzogiorno, dell'Italia, del mondo. In relazione ai "problemi meridionali", Rossi attribuisce al De Viti il merito di essere stato "uno dei primi fieri avversari della tariffa doganale del 1887" che danneggiava in due modi gli agricoltori meridionali, sia perchè li costringeva a vendere a più basso prezzo le derrate agricole per la contrazione delle esportazioni, sia perché la riduzione delle importazioni costringeva ad acquistare a prezzi più alti i manufatti industriali. In contrasto con Luzzatti, sostenitore dei vantaggi della politica protezionista, De Viti de Marco sostenne l'antagonismo d'interessi "naturale e necessario" esistente tra industria ed agricoltura italiana. Non era possibile superare tale antagonismo con un appello alla solidarietà nazionale contro lo straniero, perché "non esiste un interesse italiano comune ed omogeneo a tutti i produttori italiani [...], esistono invece, in ognuna [nazione] interessi antagonistici, alcuni dei quali sono favoriti, altri offesi dalla rispettiva tariffa doganale". Nonostante negli anni l'intervento di burocrati e politici nella regolamentazione degli scambi commerciali interni ed esteri si fosse sempre più complicato a confronto con la politica doganale della fine dell'Ottocento, Rossi constatava come "la sperequazione derivante dalla politica commerciale non è stata ridotta, anzi è stata enormemente aggravata, negli ultimi due decenni sicché le parole del De Viti de Marco conservano tutto il loro valore". Accanto alla lotta contro la politica protezionista, Rossi ricorda la "battaglia" condotta dal De Viti de Marco contro tutti i privilegi tributari, che si rivelavano a svantaggio delle regioni meridionali. Da qui scaturiva secondo Rossi il più grande insegnamento lasciato dall'economista: "ci ha insegnato a distinguere, dietro le apparenti uniformità della nostra legislazione, le iniquità sostanziali verso il Mezzogiorno". Con De Viti de Marco Rossi concordava nell'imputare ai meridionali la mancata risoluzione dei problemi del Mezzogiorno: "il problema del Mezzogiorno è essenzialmente un problema di uomini: è il problema della formazione di una classe dirigente, veramente degna di questo nome, nell'Italia meridionale". Quanto ai problemi nazionali, Rossi ricorda come De Viti de Marco abbia lottato contro quella che egli stesso definiva la "quadruplice interna" , ossia l'oligarchia burocratica, l'oligarchia militare, l'oligarchia industriale, l'oligarchia proletaria. Quanto, infine, ai problemi internazionali, De Viti de Marco fu, nella collaborazione alla redazione del giornale "L'Unità" con Salvemini, uno dei più agguerriti avversari della politica nazionalista di Sonnino e sostenitore della politica wilsoniana. Ricorda il dissenso politico che divise De Viti de Marco da Pantaleoni, pur nell'ambito di un rapporto di stima ed amicizia ininterrotta durata 45 anni, le loro discussioni sulla politica estera dell'Italia nel periodo bellico e postbellico, i loro ragionamenti intorno alla Società delle Nazioni. La fiducia che De Viti de Marco aveva riposto in quest'organo internazionale era stata delusa dagli eventi. Nella conclusione Rossi esorta i contemporanei a mantenere vivo il pensiero dell'economista, in quanto "è solo il pensiero che ha valore nel mondo".